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La Responsabilità Sociale d’Impresa o CSR (Corporate Social Responsibility) è l’insieme di strategie e comportamenti adottati dall’impresa nei confronti di tutti gli stakeholder (letteralmente i “portatori di interesse”), termine con cui si intendono i soggetti che sono, in modo duraturo, direttamente o indirettamente interessati all’attività dell’impresa e che hanno la possibilità di influenzarla: sono ricompresi gli azionisti, i dipendenti, i clienti, i fornitori, le istituzioni locali, la comunità in cui l’impresa è inserita, ecc.
Ogni azienda ha un impatto sull’ambiente che la circonda, per quanto piccola. E l’opinione pubblica è oramai sempre più sensibile all’impatto che le aziende da cui comprano hanno sull’ambiente.
Addirittura 9 cittadini su 10 (media a livello globale, fonte weforum.org) auspicano di vivere in un mondo più sostenibile nel post-Covid.
Per questo è nato il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa: un sistema per definire tutti gli interventi che un’azienda mette in atto per ridurre il proprio impatto sulla società e sull’ambiente.
È un messaggio forte e chiaro che le aziende mandano ai propri clienti e ai propri fornitori.
La Comunità Europea, nel 2001, ha definito la Corporate Social Responsibility in questo modo: “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
Non c’è ambito d’impresa oggi che non debba curare la propria reputazione agli occhi dei propri clienti: soprattutto ai sensi della sostenibilità (sia economica che ambientale).
Sono strumenti nati per misurare, monitorare e valutare le attività di un’azienda dal punto di vista della sostenibilità e dell’impatto sociale.
Questi documenti si inseriscono nella cornice definita dalla Responsabilità Sociale d’Impresa, o CSR (Corporate Social Responsibility).
La CSR si traduce nell’adozione di una politica aziendale che sappia coniugare gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali, secondo l’approccio della cosiddetta Triple Bottom Line, in un’ottica di sostenibilità che persegua il fine di preservare il patrimonio ambientale, sociale e umano per le generazioni attuali e future.
Il Bilancio Sociale non è un nuovo strumento: da sempre è utilizzato per le organizzazioni non profit, per misurare l’impatto sociale delle misure prese.
Alcune aziende e organizzazioni sono obbligate a redigere il Bilancio Sociale è stato aggiornato dal Codice del Terzo Settore (fonte Gazzetta Ufficiale) e sono:
L’utilizzo del Bilancio Sociale è diventato uno strumento utile a tutte le aziende, non solamente non-profit, per misurare l’impatto delle attività dell’azienda sulla società.
Il Bilancio Sociale è uno strumento di rendicontazione che consente alle aziende di adottare una strategia di comunicazione trasparente a fronte di un comportamento socialmente responsabile.
È un documento autonomo e complementare al bilancio d’esercizio, attraverso il quale l’azienda fornisce un quadro di sintesi sull’insieme delle attività svolte, descrivendo le azioni realizzate, le relazioni con i diversi stakeholder e l’impatto in termini di performance interne ed effetti sociali che derivano dalle strategie adottate.
La finalità del Bilancio Sociale è quella di ottenere il consenso e la legittimazione sociale da parte degli stakeholder, e quindi di rafforzare la percezione pubblica in merito all’attività di impresa.
Secondo gli standard forniti dal G.B.S. Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (Associazione non profit) il documento si può costituire di tre parti:
Redigere un Bilancio Sociale non è semplice e richiede l’intervento di vari esperti. È necessario analizzare una grande mole di informazioni ed è necessario che il Bilancio Sociale sia accurato per poter essere ben formulato.
Headvisor può aiutarvi nel redigere il Bilancio Sociale della vostra azienda per aiutarvi nella crescita sostenibile e virtuosa.
La crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei governi sulle problematiche ambientali legate alle attività produttive impone alle aziende di focalizzare la propria attenzione anche sui temi legati alla salvaguardia ambientale e allo sviluppo sostenibile, nell’ottica di misurare e ridurre il proprio impatto sul territorio.
Il Bilancio Ambientale è uno strumento che permette di analizzare la corretta gestione del rapporto impresa-ambiente e l’impatto che l’attività dell’impresa ha sull’ecosistema.
Nel Bilancio Ambientale, dunque, si descrive l’approccio organizzativo e strategico adottato per la gestione ambientale e si documenta l’impatto prodotto dalle azioni attuate, in termini di protezione ambientale, in chiave qualitativa (ad esempio, esplicando la scelta delle fonti energetiche, la modalità di gestione dei rifiuti, ecc), sia quantitativa (ad esempio, rendicontando gli investimenti realizzati in economia circolare).
È un documento molto esteso rispetto al Bilancio Sociale: non si limita ad analizzare e rendicontare esclusivamente il comportamento socialmente responsabile tenuto dall’azienda, ma allarga l’orizzonte a tutte le dimensioni della sostenibilità.
L’elenco dei 17 Sustainable Development Goals (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile), definito dalle Nazioni Unite, ha per primo messo in evidenza il legame di stretta interdipendenza che lega in maniera indissolubile le tre sfere (umana, ambientale e sociale), in origine considerate separate ed autonome l’una l’altra.
Il Bilancio di Sostenibilità è uno strumento completo, che permette all’azienda di monitorare quale impatto generano le azioni attuate su ciascuna area specifica. Permette anche di considerare e valutare con un approccio integrato le interazioni che intercorrono tra le tre dimensioni prese in esame. Inoltre, è un documento di semplice lettura e permette agli stakeholder di ottenere velocemente le informazioni delle quali necessitano per poter valutare l’attività dell’azienda nel suo complesso.
Può essere redatto seguendo gli standard forniti dal Global Reporting Initiative (GRI), secondo cui il Bilancio di Sostenibilità poggia su due principi fondamentali:
La rendicontazione degli aspetti materiali può essere effettuata per categoria di stakeholder oppure per tipologia d’impatto (economico, sociale o ambientale).
Il Bilancio Integrato è un documento che amplia la rendicontazione dell’attività aziendale, utilizzando l’approccio della Triple Bottom Line e fornendo dunque una visione d’insieme della capacità dell’impresa di creare valore (sostenibilità economica) nel rispetto dei propri stakeholder (sostenibilità sociale) e dell’ambiente di riferimento (sostenibilità ambientale).
L’obiettivo, rispetto agli altri documenti, è quello di integrare nella rendicontazione di sostenibilità anche le informazioni di natura economico-finanziaria. Infatti, il report integrato consiste nell’unione dei dati contenuti nel bilancio economico, nel Bilancio di Sostenibilità e nel Bilancio Ambientale e permette di offrire a tutti gli stakeholder un’informazione completa e di semplice lettura e comprensione delle performance dell’organizzazione.
La logica base del Bilancio Integrato è che a creare valore e crescita per l’impresa nel lungo periodo non sono soltanto gli asset tangibili, cioè quelli rappresentati da misure economico-finanziarie ed inseribili nelle tavole di bilancio (tipicamente, le attività di stato patrimoniale) ma anche quelli intangibili, cioè risorse immateriali, di natura non finanziaria.
Il Bilancio Integrato può essere redatto utilizzando gli standard forniti dall’International Integrated Reporting Council (IIRC), e deve dimostrare il legame fra la strategia, le performance finanziarie e il contesto sociale, ambientale ed economico nel quale l’impresa opera.
La redazione di un Bilancio Integrato può rispondere a diverse esigenze:
La Commissione Europea, attraverso la Non-Financial Reporting Directive (NFRD, Direttiva n°95 del 2014) impone alle imprese di maggiori dimensioni, comprese le banche e le assicurazioni, di includere nei bilanci annuali un rapporto sugli aspetti non finanziari legati alle proprie attività.
Tale strumento, tuttavia, presenta numerose limitazioni. Innanzitutto, i requisiti della direttiva sono applicabili soltanto alle imprese cosiddette “d’interesse pubblico” che abbiano più di 500 dipendenti: sono comprese società quotate, banche, assicurazioni e, per quanto riguarda il contesto italiano, aziende con più di 20 milioni di turnover netto o 40 milioni di vendite in beni o servizi. Il campo di applicabilità è, quindi, molto ristretto: al 31 dicembre 2020 soltanto 204 soggetti in Italia hanno pubblicato la dichiarazione non finanziaria.
Inoltre, occorre considerare che la maggioranza delle imprese italiane che effettuano la reportistica non finanziaria utilizza, come già accennato, gli standard GRI, che prevedono la rendicontazione di alcuni elementi (ad esempio, in merito all’utilizzo di materiali rinnovabili o riciclati in luogo di quelli non rinnovabili), senza però fornire specifici criteri sull’intensità d’uso o la valutazione in riferimento al ciclo di vita. Gli standard GRI devono quindi essere utilizzati come base di partenza per lo sviluppo di KPI Key Performance Indicator più di dettaglio al fine di misurare la reale intensità della circolarità.
Al fine di superare alcuni di questi limiti, è in fase di valutazione la proposta di revisione della NFRD (Non-Financial Reporting Directive) in una nuova direttiva sulla comunicazione della sostenibilità aziendale detta Corporate Sustainability Reporting Directive. Quest’ultima, propone di estendere l’obbligo di rendicontazione della sostenibilità aziendale a tutte le società quotate, senza limiti dimensionali, e intende elaborare norme separate e proporzionate per le PMI. La CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), inoltre, introdurrà standard di reporting obbligatori e più dettagliati, al fine di omogeneizzare le informazioni contenute nei report di analisi e renderle più attendibili in risposta ai bisogni degli stakeholder e degli enti di controllo.
Diplomato con Maturità Scientifica e laureando in Economia e Gestione Aziendale.
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